La Storia
Dicono che il vento porti storie.
Il vento trasporta suoni, immagini, colori.
Il vento può assumere tante forme, questo lo sappiamo, e chiunque di noi abbia avuto il piacere di udire il suono delicato del vento che passa tra le foglie degli alberi converrà che una di queste, forse la più pura, è la musica.
Ed è proprio la musica ciò da cui partiamo per raccontare la storia di oggi: una storia di incontri tra popoli, di mutuo scambio e riconoscimento: una storia, insomma, di vite intrecciate e di percorsi legati indissolubilmente.
Sapete come si dice “Percorsi Intrecciati” in lingua Guaranì?
Peabirù
Ed è proprio di un progetto che porta questo nome che voglio parlarvi oggi.
Mi chiamo Isabel Muzio, e io, da volontaria di questa Associazione, oggi posso raccontarvi questa storia meravigliosa.
Siccome tutte le storie devono cominciare da qualche parte, direi di partire da dove questa è iniziata, nel XVII secolo: forse dovremo risalire un po’ indietro nel tempo per poterla raccontare, ma ne varrà la pena.
Allora infatti è stato il vento a portare le navi dei gesuiti, partiti per compiere la loro opera di evangelizzazione, dalle coste europee a quelle dell’America del Sud, e forse è stato sempre il vento a portare i gesuiti nel cuore dell’Amazzonia, dove ha permesso loro di entrare a contatto con gli indigenì: quel che accadde grazie a questo fortuito incontro, è scritto nel vento stesso.
Anzi, nella musica.
Infatti il punto di contatto tra queste due culture così diverse fu proprio questo: dal mutuo scambio, dalla mescolanza delle tradizioni di questi due popoli nacque un modo completamente differente di vivere la musica, che univa la formazione barocca dei gesuiti a quella legata alla natura e al legame con essa delle popolazioni autoctone.
Le voci dei due popoli andarono ad intrecciarsi per divenire un coro, potente al punto da resistere al tempo e alle conquiste, portando con sé la storia di questo incontro: in esso sopravviveva e sopravvive ancora l’identità culturale di un popolo che, come è successo con tanti, troppi altri, andrebbe altrimenti perduta.
Nel 1996 a San Ignacio de Moxos una piccola scuola di musica decise di farsi carico di questa inestimabile eredità: fu così che nacque la Escuela de Musica de San Ignacio de Moxos, che, occupandosi della formazione di bambini e ragazzi, diede nuova vitalità ad un patrimonio che troppo a lungo era stato portato avanti solo dai ricordi di ristrette cerchie di anziani, dando ai giovani l’opportunità di riprendersi il pieno possesso delle proprie origini.
Per fortuna questo lavoro inestimabile non è, come molto spesso accade, ignorato dalla comunità internazionale: la scuola e le sue rappresentazioni culturali, infatti, sono riconosciute dal 2012 come Patrimonio Immateriale dell’UNESCO.
Questa scuola, tuttavia, si trova in una zona molto particolare della Bolivia: si tratta di un luogo lontano da noi non solo in termini di spazio, dove le persone vivono tutti i giorni sulla loro pelle la fame, la disperazione, la miseria.
Si tratta di una zona in cui a mancare, oltre alle risorse, sembra essere la speranza stessa.
In questa zona la scuola, che già così costituisce una singolarità, è unica nel suo genere: essa infatti è l’unica scuola pubblica presente in quei luoghi, e accoglie ogni anno gratuitamente fino a 250 bambini e ragazzi.
Questa scuola rappresenta per quei ragazzi l’unica occasione per ricevere un’istruzione, l’unica speranza per un futuro migliore: l’unico modo che hanno per riscattarsi dalla miseria che toccano con mano ogni giorno.
La scuola nasce con il vento ma, purtroppo, solo di esso non può vivere: il sostegno del Governo è scarso e insufficiente, e per poter mandare avanti questo meraviglioso progetto sono necessarie altre forme di sostentamento.
Una di queste è costituita dall’Ensamble Moxos: si tratta infatti di un’orchestra di giovani musicisti, formati dalla scuola e riconosciuti a livello internazionale, che organizza tour di beneficienza in giro per il mondo per da un lato raccogliere i fondi necessari a supportare la scuola, dall’altro mostrare e portare consapevolezza negli altri paesi dell’immenso patrimonio culturale che la scuola tenta di preservare, anche attraverso lo studio delle testimonianze della popolazione indigena.
Nel 2011, durante uno di questi tour, l’Ensamble ha fatto tappa a Torino: grazie al supporto fornito da quella che oggi è la nostra Presidente, Isabel Farell, in collaborazione con Suor Fatima e con la Biblioteca Civica di Torino, che hanno preso accordi con enti locali, sono stati ottenuti gli spazi per poter permettere a quei giovani di esibirsi, per ospitare gli stessi musicisti ed è stato offerto loro vitto e alloggio.
Allora io stessa ho potuto vedere dal vivo la loro esibizione: e posso assicurarvi, gentili signori e signore, che è stato uno spettacolo che nessuno del pubblico allora presente è più riuscito a dimenticare.
Davanti ai nostri occhi ha preso vita un’armonia che porta con sé le voci di tutte quelle persone che nel corso della storia quella musica l’avevano vissuta, percepita, amata: un coro di storie intrecciate, che riviveva in quei giovani musicisti e ci trascinava con la sua immensa forza nel suo viaggio alla scoperta di un popolo che non vuole e non deve essere dimenticato.
Nel 2018 l’Ensamble vuole tornare a Torino ad esibirsi, ed è qui che subentra la nostra Associazione: vorremmo infatti offrire a questi giovani il supporto di cui hanno bisogno perché ciò avvenga, sia esso l’apporto economico necessario per gli strumenti, gli spazi per ospitare i musicisti o quelli in cui si esibiranno.
Sarà necessario un sostegno concreto, ed è esattamente questo che l’Associazione si prefigge come obiettivo: loro danno la voce ai ricordi, noi forniamo loro i microfoni perché questo coro arrivi fino al cielo, a sfidare tutte le avversità che cercano di zittire quell’armonia meravigliosa.
La nostra Associazione crede fermamente in ciò che questa scuola rappresenta: la custode di un’eredità inestimabile, ma anche l’unico faro di speranza per quei ragazzi dimenticati in quel remoto angolo di una realtà per noi totalmente estranea.
In fondo è per loro che siamo qui oggi: per i bambini e i ragazzi che hanno bisogno di noi per poter far sentire la propria voce.
Tutti voi, come me, siete stati bambini, ragazzi, e tutti noi a quell’età abbiamo avuto dei sogni e delle speranze.
Allora oggi io vi dico: diamo un sostegno a questa scuola, facciamo la nostra parte.
Permettiamo a quei ragazzi di poter continuare a sognare.